Descrizione
La tavola è inserita entro una cornice di legno dorato, risalente agli inizi del secolo scorso. Essa raffigura la Natività di Gesù con l’aggiunta di un San Giovannino, che si inginocchia e solleva gli occhi in direzione della Vergine. L’episodio sacro avviene in aperta campagna, appena fuori dalla capanna dove riposano il bue e l’asinello, i quali sono disposti analogamente ai corrispettivi di un’Adorazione dei pastori e angeli di ubicazione ignota (già a Colonia da Lempertz il 24.11.1995, lotto 402). La Madonna indossa uno sfarzoso orecchino di perla e posa il suo benevolo sguardo su un vispo e grassoccio Bambino, disteso sopra un velo trasparente. La sua iconografia è speculare a quella di una Vergine, dipinta da Pietro di Domenico nell’Adorazione dei pastori con i Santi Martino e Galgano della Pinacoteca Nazionale di Siena (inv. 279), sulla quale Emil Jacobsen poteva ancora leggere la data “MCCCCC” (C. Brandi, 1933, p. 235). Lo sdentato e rubicondo San Giuseppe abbraccia il San Giovannino, indossando una cappa gialla. Alle sue spalle si innalza uno spoglio albero autunnale, che ricorda quello spettrale e inquietante, dipinto da Domenico Beccafumi nello sfondo delle Stimmate di Santa Caterina da Siena e Santi (Siena, Pinacoteca Nazionale, 1515 circa). La capanna è costituita da un nodoso albero e dai ruderi di un tempio pagano, sui quali si è abbarbicata un’edera rampicante. Dietro di essa possiamo ammirare l’angelo, che scende dal cielo per annunciare ai pastori la venuta del Messia. Sopra le figure aleggia la colomba dello Spirito Santo, circondata da sette cherubini, mentre alle loro spalle ha inizio una strada, che conduce alle porte di una cittadina dall’aspetto nordico. Questa è parzialmente celata da un rigoglioso bosco ed è ubicata in prossimità di acuminate montagne e di uno specchio d’acqua, su cui navigano almeno quattro grandi navi. All’orizzonte l’alba mattutina irradia il paesaggio con una luce soffusa, simboleggiando l’avvento di una nuova era per tutta l’umanità. La Natività di Gesù con l’aggiunta di figure di Santi non pertinenti alla narrazione evangelica corrisponde a una pratica iconografica, che tiene conto della devozione dei committenti e delle richieste da loro fatte ai pittori. Sia Benvenuto di Giovanni sia il figlio Girolamo assolsero spesso a queste esigenze, adattandosi a uno schema compositivo standardizzato. Del padre sono note opere come la Natività con San Girolamo del Philbrook Art Center di Tulsa, la Natività con San Girolamo e San Francesco del Musée Magnin di Digione e l’Adorazione dei pastori già a Napoli da Filangeri e ora a Roma in collezione privata. Del figlio restano, invece, dipinti come l’Adorazione dei pastori della Yale University Art Gallery di New Haven, la Natività con i Santi Francesco, Girolamo e Bernardino della Walters Art Gallery di Baltimora e la Natività del Museo Civico e Diocesano d’Arte Sacra di Montalcino. La vicenda critica della tavola Chigi-Saracini ebbe inizio nel 1967, quando Mario Salmi la giudicò negativamente, considerandola una “stanca ripetizione dei modi di Pietro di Domenico e di Girolamo di Benvenuto”. In seguito, è stato Alessandro Angelini a connetterla definitivamente al catalogo di Girolamo di Benvenuto, “pur rilevando quegli effettivi rapporti di stile con l’opera di Pietro di Domenico”. Infine, Patrizia La Porta ha confermato tale proposta attributiva, schedando l’opera per l’inventario generale della Collezione Chigi-Saracini di Siena. L’impiego di aureole puntinate in oro a missione e la preferenza per una luce di purezza cristallina, che dal prato del primo piano si allarga dolcemente verso il grigio-perla delle montagne, confermano un rapporto con le novità importate a Siena dai pittori umbri come il Perugino e il Pinturicchio, che ebbero un importante ruolo per l’ambiente artistico senese del primo decennio del Cinquecento. A questo proposito, è illuminante un confronto fra la Natività di Girolamo e il celebre tondo con la Sacra Famiglia e San Giovannino del Pinturicchio, oggi nella Pinacoteca Nazionale di Siena, ma originariamente nel Convento di San Girolamo in Campansi. Come ha indicato Alessandro Angelini, il lontanante fondale paesaggistico presente nella Natività e in molte altre opere di Girolamo di Benvenuto, basti osservare il Compianto su Cristo morto della pinacoteca senese (inv. 369), fa pensare che spetti a lui il ruolo di principale divulgatore a Siena del cosiddetto paesaggio alla “moda ponentina”, vale a dire secondo la tipologia cara ai grandi maestri fiamminghi del Quattrocento, che erano ben noti anche in Italia. La tavola Chigi-Saracini è fortemente legata alla Natività di Montalcino, la quale si pone sulla linea della Madonna delle Nevi della pinacoteca senese, firmata e datata 1508 (inv. 414a). Il San Giuseppe non è solamente il fratello gemello di quello di Montalcino, ma si apparenta anche al Sant’Antonio Abate, dipinto insieme ad altri santi in un frammento di predella della Pinacoteca Nazionale di Siena (inv. 370), e ad un Profeta del British Museum di Londra, che fa parte di un gruppo di dodici disegni, rappresentanti dieci Sibille e due Profeti (R. Van Marle, 1937, XVI, p. 438). Il San Giovannino, dagli occhi rotondi, dal mento pronunciato e dalla boccuccia carnosa, va paragonato tanto a un Bambin Gesù, che appare in una tavola del Musée du Petit Palais di Avignone (Madonna col Bambino e i Santi Bernardino e Caterina da Siena; E. Moench-Scherer, in Catherine de Sienne, 1992, p. 248, n. 80), quanto agli angioletti, che affiancano la Madonna Assunta nel lunettone a fresco sopra l’altar maggiore della chiesa senese di Santa Maria in Portico a Fontegiusta (1515), o all’omologo di una tavola, già a Colonia presso il Wallraf-Richartz Museum (Madonna col Bambino e San Giovannino; L. Vertova, 1969, p. 4), in cui possiamo ammirare perfino la medesima mano destra, con il dito mignolo rivolto verso l’esterno. Alla luce di quanto indicato, è lecito ipotizzare che la nostra tavola faccia da trait d’union tra quelle opere che non si allontanano dal 1508 della Madonna delle Nevi di Siena, come la Natività di Montalcino e il dipinto avignonese, e quelle che, invece, sono ormai orientate verso il lunettone di Fontegiusta del 1515, come la tavola già a Colonia, la quale appartiene a un omogeneo gruppo stilistico, che fu riunito nel 1969 da Luisa Vertova sotto il nome critico di “Maestro della Pala Bagatti Valsecchi” (L. Vertova, 1969, pp. 3-14), la cui anonima identità dovrà essere semplicemente risolta nel riconoscervi la fase finale dell’attività di Girolamo di Benvenuto (F. Zeri, 1979, p. 51).
Il restauro
Relazione sul restauro
Girolamo di Benvenuto ha dipinto questa Natività su un supporto ligneo, che sembra essere di pioppo, secondo l’uso tradizionale delle botteghe artistiche toscane del Trecento e del Quattrocento. L’esame dell’essenza è reso difficile dal fatto che il verso ha avuto in origine un trattamento protettivo per la superficie pittorica, che consiste in una completa incamottatura di tela coperta di gesso. Il supporto sembra essere composto di più assi verticali assemblate fra loro.
Il manufatto artistico era nel complesso in buono stato di conservazione, ma il suo apprezzamento era notevolmente diminuito dalla particolare situazione della superficie pittorica, che si presentava disordinata per la presenza di vernici eccessivamente ingiallite, per la sporcizia e per l’alterazione delle vecchie integrazioni pittoriche di alcune lacune. Il restauro è consistito sostanzialmente nella rimozione di queste sostanze estranee, usando alcool benzilico in sospensione cerosa, per poter calibrare il grado di pulitura. Con questa delicata operazione l’opera ha riacquistato il corretto grado di leggibilità, consentendo anche il mantenimento di un leggero strato di antica patina, che unisce e armonizza l’insieme cromatico della figurazione. Antiche puliture avevano in parte compromesso l’integrità dell’incarnato del Bambino e della densa stesura del manto della Madonna, che era stato ridipinto con colori a olio. Queste parti sono state opportunamente integrate, per attenuare gli inconvenienti della cattiva conservazione.
L’intervento si è concluso con una leggera stesura di fissativo da pastelli, evitando l’uso di una vernice brillante, che avrebbe snaturato l’equilibrio non lucido del dipinto. Il dipinto è stato inserito in una cornice dorata e punzonata di epoca novecentesca nella quale sono intervenuto con piccole integrazioni dell’oro ed una leggera verniciatura.