Descrizione
Come testimoniano la data e la firma apposte dall’autore sulle pagine del libro che giace accanto al teschio, nella parta bassa del dipinto, l’opera venne realizzata da Rutilio Manetti nel 1628. Spogliato dei tradizionali attributi cardinalizi, Girolamo è rappresentato nelle vesti del santo eremita, le carni livide segnate dalla vecchiaia e dalle asprezze dei digiuni; stremato dalle fatiche dello studio - che lo videro impegnato per molti anni nella traduzione in latino delle Sacre Scritture - San Girolamo si accascia sui sacri testi che giacciono sparsi sul terreno petroso, miracolosamente sorretto dal gesto pietoso di due floridi angeli dalle carni sode e lucenti. La sagoma scura e inquietante del teschio costituisce una chiara metafora della transitorietà e della caducità delle cose terrene, concetto ribadito dalla piccola clessidra posta vicina al calamaio, sulla pietra che funge da scrittoio. Un fiotto di luce rileva impietoso le pieghe e le rughe delle carni del povero vecchio, sulle quali si riflette il bagliore rossastro dell’ampio panneggio che cinge i fianchi del Santo eremita. Questa attenzione minuziosa e continua agli aspetti più diversi della natura, svelati da sapienti giochi di luce, indica da parte del Manetti la diretta conoscenza ed un'intima assimilazione dei fatti artistici elaborati a Roma nella cerchia dei più diretti seguaci del Caravaggio.